Cap.1

Come si può non rimanere affascinati da un abbraccio.

Come mai si potrebbe volger altrove lo sguardo dinanzi alle braccia di un padre e di un figlio che, in silenzio, si parlano d’amore attraverso i gesti.
Erano li, a guardarsi, a giocare, sotto una luce soffusa di una notte di cui son stata regina.
Il bimbo prendeva, da una cassetta giocattolo degli attrezzi, un arnese in plastica chiamando il papà “meccanico” ed esortandolo, teneramente, ad aiutarlo con le finte riparazioni.


Vedevo crescere quei momenti.

Un barbagianni compariva luminoso quale spirito benevolo sui due e il rigolo della fontana, al di fuori della staccionata della loro casa, riempiva di musica la scena.


Ancora risa ed ancora abbracci.


Le dita del piccolo, dritte, passavano fra i capelli della nuca dell’uomo per poi finire nella manica della camicia carezzandogli il braccio. La piccola testa, dai boccoletti biondi, si era adagiata su una gamba del padre. Il corpo piccino sfilava sull’erba di lato con le ginocchia raccolte entrambe su di un fianco.


Non potevo io sentirne il profumo ma l’aria era piena di mughetto, limoni e rosmarino selvatico che sembrava schizzasse dalle mura in pietra verde.


“Sarò sempre con te, Amore mio”. Questa frase sembrò uscire dalle labbra fendendo il tempo e l’aria fino a scivolare sui fili d’erba che sembrarono esserne carezzati.
Una bugia d’amore. Inconsapevole e potente.

Senza peccato. L’omissione de “… per il tempo che avró” non poteva avere eco; non poteva trovare spazio in quella pienezza di immagine.

Il mondo era lì, fermo per i due.

In un abbraccio, che per quanto sarebbe durato, avrebbe conservato il valore di una vita.


Ed io, rimasi a guardare, attonita da dov’ero;  quasi a voler proiettare il riflesso di quell’immagine nell’infinito in cui ero sospesa. 

Valentino Federico

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